Come si vedrà nel prosieguo, l’istituzione dei tribuni non sarà accettata di buon grado dalla classe patrizia e sarà posta in discussione anche la loro immunità personale per cui si renderà necessaria una nuova lotta per la riaffermazione dei diritti della plebe.
La secessione della plebe nel 449 a.C. inizia sull’Aventino …… e prosegue lungo la via Nomentana fino a Monte Sacro. L’importanza della seconda secessione
Il simbolo del Monte Sacro come luogo in cui la plebe si riuniva per respingere gli atti e le provocazioni posti in essere ai suoi danni dai patrizi non si esaurisce solo con la secessione del 494 a.C. perché lo stesso Tito Livio ne cita un’altra avvenuta nel 449 a.C. allorquando i decemviri, specialmente Appio Claudio, si comportarono da veri e propri tiranni perché, nonostante fosse scaduto il loro mandato, non vollero restituire il potere al popolo e anzi fecero ricorso a violenze, omicidi e confische di beni e terreni contro i plebei e soprattutto non riconobbero l’autorità (e l’inviolabilità) dei tribuni.
La tradizione cui si riferisce Tito Livio vuole che la plebe - inorridita per l’omicidio del plebeo Lucio Siccio, avversario inflessibile dei decemviri e per la morte della giovinetta Virginia, concupita da Appio Claudio e uccisa dal padre dei lei pur di non farla cadere nelle mani del decemviro - si trasferisse in massa sull’Aventino spostandosi subito dopo verso il Monte Sacro (in Sacrum Montem ex Aventino transit).
Lo spostamento sul Monte Sacro avvenne perché l’ex tribuno Marco Duilio aveva avvertito i plebei che i patrizi avrebbero cominciato ad avere paura solo quando la città fosse stata abbandonata e che il Monte Sacro avrebbe loro ricordato a chiare lettere quanto fosse incrollabile la volontà della plebe la quale non avrebbe rinunciato ai tribuni e alla loro autorità al pari di quanto era avvenuto decenni prima nel medesimo luogo (admoniturum Sacrum Montem constantiae plebis scituros qua sine restituta potestate).
Riferisce dunque Livio che i plebei “partiti lungo la via Nomentana, che allora si chiamava Ficulense, si accamparono sul Monte Sacro (Via Nomentana, cui tum Ficolensi nomen fuit, profecti castra in Monte Sacro locavere) e, imitando la moderazione dei loro antenati, si accamparono nel monte Sacro astenendosi dal compiere devastazioni.
I plebei non arruolati seguirono l’esercito e nessuno tra quelli cui l’età lo consentiva, si rifiutò di andare (Secuta exercitum plebs, nullo qui per aetatem ire posset retractante).
Livio precisa poi che i plebei “furono accompagnati fino alle porte della città anche dai figli e dalle mogli che, lamentandosi, si chiedevano in quali mani fosse affidata una città nella quale ormai neppure la libertà e la pudicizia erano più sacre” (4).
La città era deserta e nel foro non c’era anima viva tanto che molti senatori si convinsero che i tribuni della plebe dovevano per forza essere accettati come rappresentanti della plebe, tanto più quando, una volta istituito ed assaporato il tribunato per le classi più povere, diveniva oramai impossibile rimetterlo in discussione, tanto più se i patrizi continuavano a vessare i plebei.
Tale dibattito ebbe comunque effetti rilevanti, la caduta dei decemviri, l’arresto di Appio Claudio seguito dal suo suicidio in carcere, la nomina di due pretori e di due tribuni della plebe.
I tribuni della plebe vennero dunque definitivamente riconosciuti come legittimi rappresentanti della plebe diventando definitivamente figure rappresentative elette dal popolo nelle assemblee della plebe (concilia plebis) e destinate ad affiancare i consoli (detentori del potere esecutivo) in quanto portatrici delle istanze della plebe e quali proponenti di provvedimenti diretti a garantire la giustizia sociale.
Conseguentemente, al fine di svolgere con efficacia le loro funzioni, la plebe ottenne che ai tribuni fosse riconosciuto il potere di porre il veto sugli atti di governo lesivi degli interessi delle classi più povere e che le loro persone fossero considerate inviolabili.
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(4) “Prosequuntur coniuges liberique, cuinam se relinquerent in ea urbe in qua nec pudicitia nec libertas sancta esset miserabiliter rogitantes (TITO LIVIO, ab urbe condita, libro III, 52).
La via Ficulense che in seguito si chiamerà via Nomentana
La via Ficulense, percorsa dai plebei per giungere al monte Sacro, derivava dall’antica città di Ficulea, sita a nord di Roma e a sud di Nomentum (l’odierna Mentana): la sua citazione come città antica preromana si ricava da Dionigi di Alicarnasso secondo cui Ficulea sarebbe stata fondata dagli Aborigeni presso i monti Corniculari (5).
Livio parla invece della sua occupazione da parte di Tarquinio Prisco al pari delle città dell’antico Lazio (6).
“Conclusa la guerra con i Sabini Tarquinio torna a Roma in trionfo.
In seguito mosse guerra agli antichi Latini senza però giungere ad uno scontro campale conclusivo, ma circondando le singole città sottomise tutte le popolazioni latine e in particolare: Cornicola, Ficulea vecchia, Cameria, Crustumerium, Ameriola, Medullia, Nomentum, tutte città degli antichi Latini o di quanti si erano sottratti al loro dominio”.
Ficulnea o Ficulea era dunque una città sita a 10 chilometri dalla porta Collina dalla quale partivano la via Salaria e per l’appunto la via Ficulense.
Quando Ficulea decadde la via fu prolungata fino a Nomentum (l’odierna Mentana) che si trovava qualche miglio oltre prendendo il nome di via Nomentana.
Essa è più volte citata da vari autori e storici romani, come Marziale e Plinio il Vecchio.
Cicerone parla di un incontro che avrebbe avuto il giorno dopo nel territorio di Ficulea (7).
Giulio Capitolino riferisce che all’epoca di Antonino Pio a Ficulea era stato fondato un collegio di giovinette che si chiamavano faustiniane in onore della defunta moglie dell’imperatore Faustina (8).
Ficulea con tutta probabilità fu distrutta a seguito della guerra gotico-bizantine del VI secolo d.C. Attualmente è menzionata da una omonima via che si apre sulla via Nomentana in zona s. Alessandro.
Tracce dell’antico basolato si rinvengono sull’odierna via Nomentana di fronte al civico 1210 poco dopo il GRA (foto 2) e sull’uscio della sede regionale dell’INAIL al civico 74 di via Nomentana a pochi passi da villa Torlonia (foto 3).
Della zona di s. Alessandro si parlerà nel paragrafo successivo.
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(5) DIONIGI DI ALICARNASSO, Antichità romane, I, XVI.
(6) “Bello Sabino perfecto Tarquinius triumphans Romam redit. Inde Priscis Latinis bellum fecit; ubi nusquam ad universae rei dimicationem ventum est, ad singula oppida circumferendo arma, omne nomen Latinum domuit, Corniculum, Ficulea vetus, Cameria, Crustumerium, Ameriola, Medullia, Nomentum, haec de Priscis Latinis, aut qui ad Latinos defecerant, capta oppida” (TITO LIVIO, Ibidem, I, 38).
(7) CICERONE, Lettere ad Attico (XII, ep. XXXIV):
“Cras igitur in Sicae suburbano: inde quemadmodum suades puto me in Ficulensi fore”
“Domani mi recherò nel distretto suburbano di Sica: da lì, come mi consigli, passerò nel territorio ficulense”.
(8) G. CAPITOLINO (Anton. Philos., c. 29) scrive che
“novas puellas Faustinianas instituit in honorem uxorsi mortuae”
“fondò un collegio destinato a giovani ragazze che assunsero il nome di faustiniane in memoria della defunta moglie Faustina”